Cinema

Silvia Scola: "Mio padre Ettore pensava ai film partendo dal disegno"

Ettore Scola
Ettore Scola

Ettore Scola, la figlia, e Milazzo hanno creato insieme il fumetto "Un drago a forma di nuvola" da cui oggi è nato il film "Il materiale emotivo" di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini. 

Un drago a forma di nuvola. L’ultimo sogno di Ettore Scola, uno dei più grandi maestri del cinema italiano, non è stato un film: è stato un fumetto, immaginato da Scola e trasformato in immagini all’acquarello da un altro maestro come Ivo Milazzo. Abbiamo intervistato Silvia Scola, la figlia del regista, e il disegnatore, famoso per avere creato  l'amatissimo personaggio western Ken Parker.

Evidentemente però era destino che questa storia – pensata in effetti per il cinema - diventasse alla fine anche un film: e così è nato Il materiale emotivo, uscito nelle sale italiane il 7 ottobre. 

Il film, tratto dal soggetto e dal trattamento di Ettore Scola, è stato realizzato da Sergio Castellitto (regista e interprete), con la sceneggiatura di Margaret Mazzantini. La prima edizione di Un drago a forma di nuvola è stata pubblicata nel 2014 dalla casa editrice Bao Publishinhg: Ettore Scola, mancato nel 2016, aveva fatto in tempo a presentare il libro e a vederlo poi nelle librerie.

La seconda edizione, pubblicata dalla casa editrice NPE, è uscita invece nel 2019. Ivo Milazzo, riconosciuto maestro del fumetto a livello internazionale, è famoso per avere inventato il personaggio western di Ken Parker. Tra i suoi lavori anche Uomo Faber, dedicato a Fabrizio De Andrè e scritto insieme a Fabrizio Calzia.

Ivo Milazzo


Meglio un film, o un fumetto?
Alla fine mio padre è stato contento così, dato che un graphic novel prima di Un drago a forma di nuvola non lo aveva mai fatto – racconta Silvia Scola, figlia del regista e sceneggiatrice – Mio padre aveva avuto l’idea e aveva scritto il soggetto: poi Furio Scarpelli e papà e io avevamo scritto il trattamento: che possiamo definire come una fase intermedia tra l’idea e la sceneggiatura finale: quest'ultima è quella che va in mano al regista.

Perché ha detto che suo padre non aveva mai fatto un fumetto prima? Ettore Scola disegnava?
Si certo. Papà aveva iniziato a 16 anni, nella redazione del Marc’Aurelio: un bisettimanale satirico che è stato fondamentale per la cultura italiana. Basti dire che in quella redazione sono passati personaggi del calibro di Furio Scarpelli e Agenore Incrocci, che poi divennero l’importantissima coppia di sceneggiatori Age & Scarpelli, e che lavorarono anche con papà; Steno; Marcello Marchesi; Cesare Zavattini; Mario Bava; Mario Camerini e Federico Fellini.

Papà e Fellini facevano i disegnatori satirici. Poi sono arrivati anche Castellano & Pipolo. Papà era appassionato di fumetti già da piccolo, li collezionava tutti e rifaceva i disegni. Partendo dal Marc’Aurelio ha conosciuto un sacco di addetti ai lavori, il gotha del cinema italiano dell’epoca. Ha iniziato a lavorare nel giro: prima faceva il battutista, poi il ghost writer.
In quello che scriveva l’impostazione grafica e visiva era sempre potente: un bagaglio che si è portato dietro anche quando è diventato regista. Anche nella maturità papà disegnava ovunque: a volte quasi compulsivamente. I suoi film nascevano prima dal disegno: i costumi, gli attori, i personaggi, le scene. Il disegno e il fumetto in particolare lo hanno accompagnato per tutta la sua vita”.

Sergio Castellitto con Ivo Milazzo sul set di "Il materiale emotivo"


Per esempio?
Prendiamo il film Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? uno dei suoi film più famosi e importanti, oltre che amati dal pubblico. Già dal titolo si vede che papà si era ispirato ai fumetti. Anche come era costruita la sceneggiatura, certe riprese, certi sguardi. Ma non è stato un caso isolato. Papà aveva un’immaginazione prepotentemente visiva. E si vede anche in questo Drago a forma di nuvola, disegnato da Ivo Milazzo”.

Perchè il soggetto non è stato trasformato subito in un film? 
Era stato pensato per il cinema: non è diventato subito un film per colpa, indirettamente, di Berlusconi. Che ha anche la responsabilità di avere spinto mio padre ad abbandonare l’attività di cineasta prima del tempo. Un vero delitto, visto che la vena creativa di papà non si era di certo ancora esaurita.

Berlusconi ha sabotato Ettore Scola?
Esatto. Erano i primi anni 90. Papà era sotto contratto con la Medusa Film di Berlusconi. Aveva già scritto questo soggetto e anche altra roba, e come sempre stava ragionando su come trasformare questo materiale in film. Poi arrivò la discesa in campo di Berlusconi in politica, nel 1994.

E cosa c’entra il cinema di suo padre?
Forza Italia è nata da subito come una formazione politica di centro-destra. Qualcuno aveva storto il naso, nel mondo del cinema: un ambiente che spesso ha un orientamento politico diverso. Un giorno hanno chiesto a Berlusconi se non pensava che il suo impegno politico fosse in contraddizione con il suo lavoro nel cinema. Lui ha risposto che il suo grado di democraticità era dimostrato dal fatto che produceva film di comunisti come Ettore Scola
Papà aveva già firmato il contratto con Medusa per realizzare il film. Aveva fatto dei sopralluoghi, aveva contattato degli attori, stava ragionando sulla sceneggiatura vera e propria. Però quando ha sentito questa frase di Berlusconi ha deciso di incrociare le braccia. Ho chiuso con il cinema – ci disse – Non farò altri film.  Ha fatto solo un’eccezione, nel 2013, quando ha realizzato Che strano chiamarsi Federico, il docufilm sul suo amico Federico Fellini.

Ettore Scola e Massimo Troisi


In pratica il film è morto nella culla
Si. Papà e Furio Scarpelli e io dopo il soggetto e il trattamento avevamo già iniziato a lavorare alla sceneggiatura, c’erano già tutte le scene, ma abbiamo interrotto di colpo.

A che attori pensava Ettore?
Nella sua idea Gerard Depardieu doveva fare il padre-libraio: mi sembra che gli avesse già parlato. Per il ruolo della figlia papà aveva pensato a Nastassja Kinski. Per il cameriere italiano avrebbe voluto Massimo Troisi, ma purtroppo era morto da poco. Allora papà aveva pensato a Silvio Orlando; in alternativa, voleva fare un provino a Luca Laurenti, che all’epoca era agli inizi. Doveva comunque essere un personaggio quasi comico, in grado di muoversi in un ambiente drammatico ma al contempo alleggerendolo. Poi c’è stata quella battuta infelice di Berlusconi, e il soggetto è tornato nel cassetto.

Come ha fatto a uscire dal cassetto per diventare un graphic novel?
Per caso, come spesso avviene in casi del genere – interviene Ivo Milazzo – Una sera Ettore Scola era a cena, a Napoli con alcune persone tra cui Serena Autieri e il mio agente letterario, Tommaso D’Alessandro. Non so esattamente come è andata. Probabilmente Tommaso ha detto che è attivo soprattutto nel mondo del fumetto, e ad Ettore è venuto in mente che aveva un paio di soggetti adatti ad essere trasformati in graphic novel
D’Alessandro ha pensato che tra i suoi autori io fossi quello più adatto a trattare un materiale del genere, e così ha fatto il mio nome a Scola. Per  fortuna Ettore era un grande appassionato di fumetti e conosceva il mio personaggio principale, Ken Parker: questo ha certamente influito sulla decisione del regista di affidarmi i suoi soggetti.

E quando glielo hanno detto?
Subito. Alle 23 mi arriva un Sms da Tommaso: ti piacerebbe lavorare con Ettore Scola? Gli ho risposto che poterlo incontrare di persona mi sembrava già un miracolo. E quando ci siamo visti ne ho avuto conferma: Ettore era davvero una persona capace di trasmettere emozioni. Per me è stato il top: amo tantissimo i suoi film.

Come è andato l’incontro?
Sono andato a Roma, ci siamo visti, abbiamo chiacchierato a lungo. A dire il vero Scola ha fatto parlare soprattutto me e mi è stato ad ascoltare. Poi all’improvviso mi ha detto una cosa che mi ha un po’ spiazzato.

E cioè?
Non so perché sei venuto – ha detto – Non so se le mie idee sono adatte ad essere trasformate in un fumetto. Per fortuna ho avuto la prontezza di spirito di rispondergli che conoscevo bene i suoi film, e che erano  quasi tutti  adattissimi a diventare il soggetto di un graphic novel. E così lui mi ha dato i soggetti da leggere .

Silvia, Ettore e Paola Scola


Ha detto che erano due?
Si. Uno era intitolato Il Badato: molto originale e intrigante. L’altro soggetto invece aveva un titolo provvisorio: La piccola. Era la storia di un libraio francese, con negozio sull’Ile Saint Louis, a Parigi. Il libraio aveva una figlia completamente paralizzata da quando era piccola, a causa di un incidente. Quest’uomo divideva la sua esistenza tra il negozio e l’accudimento della figlia, cui leggeva con amore i libri che lei non poteva leggere da sola.
L’appartamento era sopra il negozio. Un giorno in negozio arriva una ragazza. E’ un incontro casuale, ma da quel momento la vita di tutti ne rimane sconvolta. Sono rimasto colpito da questa storia, dall’emozione semplice ma intensissima che promanava. Quando ho finito di leggerlo avevo le lacrime agli occhi: e così ho scelto questo, nonostante i dubbi.

Che dubbi?
Non ero certo di riuscire a ricostruire con i miei disegni l’intensità della relazione tra padre e figlia - risponde Milazzo -  Sono anche andato di persona all’Ile Saint Louis, per scoprire il luogo in cui era ambientato. E’ stata una folgorazione scoprire che Ettore aveva fatto lo stesso: la libreria con l’appartamento sopra e il ristorante vicino c’era veramente.
La cosa sconvolgente – riprende Silvia Scola – è stata scoprire la totale affinità e compatibilità tra il lavoro di mio padre e quello di Milazzo. Il trattamento era praticamente già tutto quello di cui Ivo aveva bisogno: se si fosse trattato di un film, invece, sarebbe stato necessario scrivere ancora una sceneggiatura più tecnica e particolareggiata. Ivo ci mandava le tavole da vedere, 10 alla volta, e papà le aspettava ogni volta con grande gioia e impazienza, quasi spasmodica. 
La realizzazione del fumetto era perfetta, le tavole rispecchiavano la storia come la vedevamo noi, con la stessa poeticità. Anche i volti erano gli stessi: Depardieu, Kinski, Troisi”.

Papà non faceva mai nessun appunto ai disegni di Ivo, nessuna critica e già questa era una cosa eccezionale. Ettore non era certamente uno che si accontentava: e quindi lui stesso era sbalordito dal fatto che le tavole andassero sempre tutte bene.


Che regista era Ettore Scola?
Chi ha lavorato con mio padre lo sa bene: papà era molto pignolo e molto esigente, con sé stesso e con gli altri: anche se era gentile e non gli piaceva né alzare la voce né trattare male il prossimo. Spesso gli attori sono un po’ particolari, diciamo così: sono pieni di paure e manie. Papà si ritrovava spesso a fare da psicoterapeuta, oltre che da regista: sempre nell’ottica del lavoro da fare, ovviamente. Mio padre sapeva sempre trovare il modo per ottenere ciò che voleva dagli attori.
Una volta ero alle prese con una tavola, che non mi convinceva – riprende Milazzo – C’era un disegno che non funzionava: una vignetta molto cerebrale, che doveva esprimere emozioni complesse. Gli ho chiesto un consiglio e lui mi ha detto: Cambia ripresa, ribalta il campo. Ho seguito il suo suggerimento ed è andato tutto a posto”.

Ma quando è nato questo titolo?
Mentre lavoravamo c'era il titolo provvisorio. Alla fine, quando  gli ho portato l’ultima pagina, lui l’ha vista e mi ha detto: Un drago a forma di nuvola.  Forse volevi dire Una nuvola a forma di drago gli ho risposto. Lui mi ha guardato e con il suo tipico sorriso penetrante mi ha detto: Che fai? Mi correggi? Ci abbiamo riso su e l’abbiano chiusa così.
Il titolo non aveva un significato particolare – interviene Silvia Scola – Se non quello di ribaltare un luogo comune e indirizzare il lettore verso la vera chiave di lettura, verso il vero protagonista di questa storia: la figlia. La giovane donna non parla, non fa un solo movimento, ma è la vera dominatrice di tutto, la voce narrante: tutto il libro è raccontato da Albertine. E’ lei il drago, che ha la potenza della comunicazione, che piega gli altri a fare ciò che vuole lei, anche se è sfuggente come una nuvola.
E’ come nel film Ballando, ballando, del 1983 – prosegue la figlia del regista – Il silenzio, l’assenza di parlato, diventa narrazione, sul filo delle emozioni. Ci sono delle tavole dove il libraio esce in strada e cammina da solo, ha bisogno del silenzio per elaborare l’amore che sta nascendo.

In che modo il fumetto è diventato un film?
Il cinema si è subito interessato a questa storia, appena è uscita la prima edizione del fumetto. Papà aveva ricevuto una telefonata da Paolo Virzì, che era rimasto entusiasta dopo avere letto il graphic novel. Aveva telefonato anche Giuseppe Tornatore: ma era tutto bloccato dal fatto che c’era un contratto precedente con la Medusa.
Sono passati molti anni, e il libro è stato ristampato da Edizioni NPE. Probabilmente Castellitto e sua moglie Margaret Mazzantini lo hanno letto e hanno deciso di fare un film ispirato a questo soggetto di mio padre.

Ettore Scola

 


Come lo avete saputo?
La notizia ci è arrivata dalla Rodeo Film. Sono stati loro a dirci che c’era il progetto di fare un film partendo dal soggetto di mio padre, e che lo voleva fare Castellitto. Papà era già morto: ci hanno pagato i diritti e si sono messi al lavoro. Devono essersi basati solo sul fumetto, perché non hanno chiesto nulla a noi della famiglia. 
Papà e Furio Scarpelli avevano parlato molto e avevano avuto un grande scambio epistolare a proposito di questo soggetto: noi familiari abbiamo un grande carteggio, ma non lo hanno voluto. Peccato. Sono convinta che Virzì se lo sarebbe invece divorato. Paolo Virzì è stato un allievo di Furio: sarebbe certamente riuscito a cogliere e mantenere lo spirito che mio padre e Furio avevano messo in questo soggetto.

Era normale questa comunicazione tra gli autori?
Sì. Con Furio era un brainstorming continuo, spesso venivo coinvolta anche io. Bisogna condividere un’idea per renderla migliore. Il lavoro dello sceneggiatore è bello perché è collettivo.

Ettore Scola era più sceneggiatore o più regista?
Lui aveva iniziato come sceneggiatore, poi si era avvicinato alla regia: ma sapeva pensare contemporaneamente nei due modi. Papà aveva grandi capacità di direzione degli attori. Aveva un modo molto amabile di chiedere le cose, ma alla fine riusciva sempre a ottenere ciò che voleva.

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Ettore ha fatto decine di film, tra regia e sceneggiatura. Quale preferiva?
Papà non parlava volentieri del suo lavoro, era molto schivo. Era refrattario ai complimenti, anche quelli sinceri: lo mettevano in imbarazzo.  Quando gli facevano domande, lui tagliava corto: I miei film parlano per me: guardateli
Ma se noi parenti lo mettevamo alle strette, confessava che il suo film preferito era quello che ha avuto meno fortuna: Trevico-Torino - Viaggio nel Fiat-Nam, del 1973. Un film autoprodotto, l’unico vagamente autobiografico. Lo aveva girato in 16mm con una troupe dalla Unitelefilm, che faceva capo al Partito comunista. Papà lo aveva scritto e diretto; a fare la sceneggiatura era stato il giornalista Diego Novelli, che appena due anni dopo era diventato sindaco di Torino.

Torniamo al film Il materiale emotivo. C’è una foto di Milazzo sul set, con Castellitto.
Quando ho saputo che girava a Cinecittà – risponde Milazzo – Ho chiesto di fare una visita sul set. Ero curioso di vedere come avevano ricostruito la libreria e i dintorni del negozio, che atmosfera c’era. Era il luglio 2019, poi c’è stato il Covid che ha bloccato tutto.

Ma Ettore Scola era dispiaciuto di non avere fatto il film?
No. Quando è uscita la prima edizione del graphic novel, abbiamo fatto la presentazione ufficiale alla libreria della Stazione Termini, a Roma. Ettore era molto soddisfatto del lavoro che avevamo fatto insieme. Mi ha detto chiaramente che era molto contento di avere fatto un fumetto e non un film. Dato che aveva iniziato come disegnatore, ma non aveva mai fatto sceneggiature per i fumetti, gli sembrava di avere concluso un percorso che aveva iniziato da ragazzo.